Storia di Internet

Questo articolo, che riprecorre in breve le tappe fondamentali della nascita della Rete, è apparso su Technology Review Italia 1998, n.4.

di Silvia Andreoli

é curioso scoprire quanti presunti padri abbia Internet, ma davvero nessuna madre, nemmeno simbolica. Le donne sono assenti e silenziose, nella gestazione e nella nascita della rete, forse perché lo stimolo da cui tutto è partito ha una natura politica, e quasi catastrofica: l’imminenza di un conflitto atomico e quindi problemi di sopravvivenza, di forza, a quei tempi parte di una sfera tipicamente maschile.

La storia di Internet è il frutto insperato di una sincronia delle dissonanze. Persone in luoghi lontani, con idee apparentemente impossibili e un sogno nel cassetto, si sono ingegnate a costruire, smontare, impostare sistemi e macchine, codici che di per sé sembravano cadere nel vuoto.

E invece, le notizie sono rimbalzate e così l’entusiasmo, la curiosità, quello spirito pionieristico che è la linfa vitale della storia americana da cui questa vicenda prende inizio, assieme alla competizione con la vecchia Europa, e l’Inghilterra soprattutto.

Ecco, dunque, il cenno iniziale: il lancio dello Sputnik da parte della Russia nel 1957, il bisogno americano di riaffermare la supremazia in campo di ingegneria militare, e le idee un po’ originali di uomini innamorati del futuro e dell’ignoto.

Il tempo è la misura più stabile per le storie, il tempo che è una convenzione ma forse anche una fede universale, la più antica. Questi cenni procederanno per tappe di decenni, dai mitici anni ’60, avanti, sino alle soglie del duemila.

Ma si può davvero iniziare con una data? O come per tutti i sogni e i progetti quasi inconsapevoli dell’universo umano, si deve tenere conto anche del tempo non calcolabile dell’inconsapevolezza, e di una strana casualità?

Proviamo a farlo.

I mitici anni ’60: una rivoluzione quasi per caso

ARPA è parola che, in italiano, ha un forte potere evocativo. Ma, nel contesto americano della fine degli anni ’50, è in realtà una sigla piuttosto pericolosa, che sostituisce alla poesia il rumore della guerra e delle armi.

Si tratta, precisamente, dell’Advanced Research Project Agency, ovvero una struttura interna al Dipartimento della Difesa, con il compito specifico di assicurare il primato americano nelle tecnologie legate al settore militare.

L’orgoglio americano subisce un forte smacco, quando l’Unione Sovietica manda in orbita lo Sputnik. E’ il 4 ottobre 1957. Vengono subito messi in moto i migliori cervelli, e nelle stanze di potere come nei laboratori universitari prende a rimbalzare l’interrogativo su che cosa mai ci sia ancora da aspettarsi dai russi.

Il pessimismo è, paradossalmente, la vera molla scatenante della rivoluzione portata da Internet: il clima della guerra fredda avvicina il conflitto e la paura, l’immaginazione fa dell’Unione Sovietica un antagonista ancora più lucido, preparato e potente di quanto in realtà non sia.

Nel terrore dell’imminente conflitto atomico, il Dipartimento della Difesa americana si arrovella nel dubbio di come rendere possibile le comunicazioni. La bomba potrebbe distruggere e divorare tutto, compresi i cavi e i commutatori dell’impianto tradizionale. Negli incubi americani, diventa, anzi, il primo e più invitante bersaglio.

A questo punto la storia si confonde: perché è certo che il Dipartimento della Difesa commissiona alla Rand Corporation di cui fa parte Paul Baran , la ricerca di un sistema di comunicazione capace di creare una struttura di collegamento tra computer, robusta, flessibile e adatta a funzionare in condizioni di incertezza.

E’ anche vero però che già nel 1962 Leonard Kleinrock, dal 1959 Ph.D al MIT, conclude la propria ricerca, (pubblicata poi nel 1964 dalla McGraw-Hill, dal titolo “Comunication Nets”), in cui sviluppa l’idea fondamentale della packet switching o “commutazione a pacchetto” . La innovazione tecnologica fondamentale per la nascita di Internet.

Leonard Kleinrock e Paul Baran., forse la paternità è duplice, o forse le scoperte sono talmente il frutto combinato e imprevedibile di fattori che sono nell’aria, che è difficile affermare con certezza chi arrivi per primo a verbalizzarli.

Comunque la teoria della commutazione a pacchetto, che viene a sostituire quella allora in uso chiamata “circuit switching” , prevede che la rete funzioni senza una autorità centrale, con nodi assolutamente indipendenti tra loro e con pari gerarchia, capaci tutti di creare, trasmettere e ricevere. In questo modo, la mancata funzionalità dell’uno non pregiudichi quella di tutti gli altri.

Per ragioni di sicurezza, ogni messaggio viene scomposto in vari pezzi, detti appunto pacchetti, di circa 1500 caratteri ciascuno, opportunamente targato per non smarrirsi.

Ogni pacchetto viene inviato separatamente verso la propria destinazione. Se, per qualsiasi ragione, si verifica un intoppo lungo una delle strade della rete, il pacchetto è automaticamente rispedito attraverso un’altra arteria.

Nei laboratori americani si lavora febbrilmente sull’idea e sulla sua concreta realizzazione, preoccupati dallo scoppio di un conflitto atomico. Lo scopo ufficiale dell’ARPA è, però, soltanto quello di consentire a tutti gli utilizzatori dei fondi di ricerca dell’agenzia di comunicare agevolmente tra loro, mettendo in diretto contatto le 256 macchine, calcolatori o server, (il personal computer ancora non esiste ).

Le notizie trapelano in Europa. L’Inghilterra, che già sta lavorando parallelamente sulla base di quella che sembrava all’inizio soltanto un’eresia tecnologica, mette in piedi, in tutta fretta, l’NPL Data Network. Nel 1968, battendo in volata l’America, realizza i primi test operativi di packet swiching presso il National Physical Laboratory del Middlesex.

Per tutta risposta il Pentagono stanzia somme cospicue perché si facciano sperimentazioni ad ampio raggio, per connettere diversi calcolatori attraverso le linee telefoniche esistenti, progetto chiamato ARPANET.

La gara per l’appalto organizzata dal Dipartimento della Difesa viene vinta dalla BBN, sigla che sta per Bolton, Beranek and Newman Inc di Cambridge, Massachusetts, che annovera tra le sue fila veri e propri maghi dell’hardware e della programmazione, tra cui Bob Khan che è appena una giovane promessa, ma tanta parte avrà nell’evoluzione successiva.

Per mettere in funzione la tecnica della commutazione a pacchetto, questi pionieri metropolitani smontano e assemblano un minicomputer Honeywell appena inventato, il 516 con 12K di memoria, un mostro per l’epoca, con l’IMP, macchina che serve per la gestione dei messaggi trasmessi da un calcolatore all’altro. Contemporaneamente, viene messo a punto un software che stabilisce le regole di comunicazione tra le diverse macchine.

Tutto è pronto. O almeno così sembra.

Grazie al contributo fondamentale di Kleinrock nella teorizzazione delle tecnologie di comunicazione, l’ARPA decide che sia l’Università di Los Angeles, California (UCLA), presso cui Kleinrock per l’appunto lavora, il primo nodo su cui sperimentare il lavoro della BBN. Entrano nell’équipe giovani studenti tra cui Vinton Cerf, da molti considerati il vero padre di Internet, per le scoperte attuate negli anni successivi.

Una serie rocambolesca di disguidi precorre la nascita di ARPANET , anche se la storia ufficiale racconta che il 2 settembre 1969 quattro nodi, e cioè la UCLA, lo Stanford Research Institute (SRI), l’Università della California a Santa Barbara (UCSB) e l’Università dello Utah sono messi in funzione e ricevono corrente.

Stando invece alla biografia di Leonard Kleinrock, che ha vissuto questo “parto” molto da vicino, il 2 settembre soltanto il nodo della UCLA è attivo e viene inviato un messaggio tra il computer del laboratorio e l’IMP, ossia l’Interface Message Processor, dell’Università stessa. Le lettere digitate si muovono da una macchina all’altra, formando questa frase: THUS WAS BORN THE ARPANET, AND THE COMMUNITY WHICH HAS NOW BECOME THE INTERNET!

Soltanto il mese successivo si installa il nodo all’SRI, realizzando così la prima Host-to-Host comunication. A dicembre del 1969, i quattro nodi sono finalmente tutti attivi.

Non ancora sopiti gli echi della rivolta che infuoca scuole e università contro la guerra nel Vietnam e nel pieno dei conflitti razziali che infuocano la storia d’America, nasce, abbastanza silenziosamente, la prima rete telematica che cambierà, davvero, il modo di comunicare e anche l’identità stessa delle relazioni.

Gli anni ’70: la struttura si fortifica e cresce

Il tempo passa per tutto, anche per la prima rete, che muta, percorsa da metamorfosi continue che la portano assai lontana dai pionieristici macchinari del 1969.

Tutto si fa più consueto e tende progressivamente ad uscire dalla influenza militare che l’ha generata.

Sebbene gli anni ’70 rappresentino l’evoluzione della rete ancora in spazi chiusi e scientifici, quali enti di ricerca e università, tuttavia si lavora assiduamente per rendere la comunicazione quanto più veloce, diretta e istintiva possibile.

L’attenzione si concentra su due poli paralleli: la creazione di un numero sempre maggiore di nodi, e la messa a punto di un linguaggio standard per tutte le macchine, agevole e pratico. Se nel 1971 gli hosts collegati, computer in grado di trasmettere e ricevere a distanza i dati, sono 23 , nel 1972 arrivano a 37 e così avanti, progressivamente, sino al dato del 1980 che ne conta 200. Questa proliferazione libera e disordinata delle reti rende sempre più urgente l’esigenza di trovare regole e standard unificati.

Si lavora soprattutto sul paradigma di comunicazione.

Vuole la leggenda che, nella primavera del 1973, l’appena ventinovenne Vinton Cerf, a colazione con il socio Bob Khan, nella hall di un hotel di San Francisco, abbozzasse la struttura dei “gateway”, computer passerella tra un sistema e un altro, a matita sul retro di una busta per corrispondenza.

Il progetto viene illustrato qualche tempo dopo all’Università del Sussex, in Inghilterra, dove Vinton Cerf è diventato presidente di un gruppo di ricerca che si occupa specificamente del problema.

L’anno successivo, Khan e Cerf pubblicano il protocollo TCP (Transmission Control Protocol), una vera e propria rivoluzione, che ha in sé i principi di quello che diventerà il protocollo IP (Internet Protocol) , da cui nasce la parola Internet. Si tratta, in pratica, di una lingua unificata, capace di fare da veicolo tra macchine a distanza, quale che sia il canale utilizzato, e di mandare i messaggi, da qualunque nodo inviato, alla giusta destinazione.

Ecco, dunque, che si incontra una seconda data di nascita: il 1974, quando la parola Internet è per la prima volta viene usata.

Si scopre , che la rete ARPANET, predisposta alla comunicazione in caso di conflitto nucleare, viene allegramente usata da docenti e ricercatori per scambiarsi, con religiosa frequenza giornaliera, messaggi conviviali, scommesse sulle partite, scherzi e pettegolezzi.

Questa chiacchiera virtuale è molto agevolata dalla iniziativa di Ray Tomlison e Larry Roberts, della BBN, che, nel 1972 progettano il primo programma di posta elettronica, che viene perfezionato soltanto nel 1977. Sempre del 1972 è la comparsa in rete di S.F.Lovers, la prima mailinglist dedicata agli amanti della fantascienza .

Nel frattempo si sta consumando un’altra rivoluzione silenziosa: l’inizio degli anni ’70 vede l’ingresso sulla scena dei microcomputer quali i PDP e i Vax, della Digital Equipment Corporation, che, a differenza delle macchine IBM, sono relativamente poco costosi, e quindi alla portata dei budget delle università e delle aziende.

L’interesse di nuovi soggetti per le macchine “intelligenti” mette in moto anche la AT&T, all’interno dei cui laboratori si lavora per vendere, insieme alle macchine, un programma capace di approntare facilmente software e soprattutto di usarli simultaneamente.

Nasce Unix, rozzo ma potente strumento che scatena l’entusiasmo dei ricercatori. Si inizia così a lavorare all’adattamento del sistema sulle macchine e finalmente, nel 1976 Mik Lesk, dei laboratori Bell della AT&T, crea il primo collegamento tra due macchine che usano Unix, attraverso un modem e la ordinaria linea telefonica. Si tratta di UUCP, Unix to Unix Communication Protocol, il primo sistema operativo, filo indistruttibile della nuova rete planetaria che si va tessendo.

Grazie a tutto questo, verso la fine degli anni ’70, si sviluppano nuove reti indipendenti.

Ormai lo spazio si apre progressivamente, sino a perdere i confini e la nozione stessa di luogo. Si prepara la fase successiva, quella della diffusione pubblica.

Gli anni ’80 ovvero la nascita “pubblica” di Internet

Il 1980 è un anno fondamentale: il Dipartimento della Difesa americano, a differenza di quanto ci si poteva aspettare, non sottopone i protocolli TCP/IP al segreto militare, e li annovera tra i beni demaniali, a disposizione di chiunque ne sia interessato. Immediatamente, enti indipendenti, come la NASA, alcuni stati federali e le università installano reti ad ampio spettro, utilizzando il linguaggio unificato.

Ma è solo l’inizio: nel 1983, la componente militare di ARPANET è ufficialmente scorporata dalla rete, e viene a creare una regione separata con il nome di MILNET. Una volta messi al sicuro i segreti militari, tutto il materiale e i risultati delle ricerche possono essere offerti a istituzioni non commerciali.

Intanto, l’ente scientifico governativo americano NSF (National Science Foundation) installa cinque centri di elaborazione con accesso remoto e li offre a enti scientifici.

Da un punto di vista pratico, il primo problema che la NSF deve risolvere è se appoggiarsi alla già esistente ARPANET o istituire una rete autonoma. Dopo consultazioni e dubbi, soprattutto per ragioni burocratiche e di sicurezza, si propende per la seconda scelta: nasce così il progetto di NFSNET, che, partito nel luglio 1986, di fatto soppianterà velocemente ARPANET .

Tra le mosse concrete, la NSF, per ragioni dei costi di cablaggio che ne deriverebbero, decide di non creare linee dedicate per connettere in rete chi ne faccia richiesta, ma utilizza allo scopo le normali linee telefoniche.

Nel frattempo, grazie alla diffusione e alla semplificazione dei sistemi operativi e degli hardware avanzati, si sviluppano altre reti indipendenti, di natura non commerciale: USENET (User’s Network) è del 1979, mentre BITNET, acronimo che sta per “Because It’s Time NETwork”, nasce nel 1981, voluta e finanziata dalla IBM, con supporto della National Science Foundation, e con il silenzioso ma palese obiettivo di rilanciare l’immagine di quello che era stata il colosso informatico degli inizi, ora in parte messo in ombra dall’unione Vax – Unix – TCP/IP.

Queste nuove reti si propongono soprattutto lo scambio di e-mail, listserv per la distribuzione di informazioni e tutte le funzioni legate ad un uso quotidiano e agevole dell’informazione.

Cade, nel frattempo, l’ultimo freno all’esplosione del fenomeno: nel 1984, la compagnia telefonica americana AT&T perde il monopolio storico sulle telecomunicazioni e viene smembrata per espresso atto della commissione federale.

Ormai entrare in rete non ha più costi proibitivi come all’inizio. Tutto è pronto: adesso spetta al tempo e alla Storia di fare il loro mestiere.

Non si tratta più del progetto di qualcuno, né di strategie militari o belliche. La vita quotidiana fa il suo ingresso e tratteggia le mappe di quelle strane, misteriose magie, che nessuno può prevedere, ma che al tempo stesso non possono andare sprecate.

Esplode l’intraprendenza dei singoli: grazie al protocollo TCP/IP, anche piccoli centri, organizzazioni no profit e enti isolati cercano di costituire un proprio nodo, capace di comunicare con gli altri.

Aumenta vertiginosamente il numero dei forum virtuali, o liste di discussione, – oltre 4000 – agevolate soprattutto da BITNET attraverso il software Listserv. Nel dicembre 1983, nasce a San Francisco, FIDO bbs, che verrà collegato a FIDO bbs N.2 da Tom Jennings, Baltimora, creando il primo nucleo di FidoNet, rete che conoscerà una grande diffusione soprattutto per i dibattiti su idee, diritti e valori civili, anche se dotata di infrastrutture che non permettono il collegamento diretto in rete.

Questo apporto dei privati dà alla rete la connotazione più particolare, di varietà e vivacità che tuttora conserva, anche se il rischio in agguato è il caos.

Intanto la tecnologia fa passi da gigante: tra il 1983 e il 1987, sia l’hardware che le ricerche riguardanti la telefonia si sviluppano enormemente.

Nell’84, la Apple Macintosh installa sul computer un software a finestre, icone e cartelle, veloce e intuitivo, che getta le basi del concetto di interfaccia su cui attualmente girano tutti i nostri programmi.

Il traffico, dunque, si infittisce, e l’entusiasmo cresce. Ma soprattutto si fa avanti sempre più la consapevolezza del potenziale economico legato all’espansione della rete. Una vera e propria miniera d’oro al cui fascino quasi nessuno riesce a resistere.

Ormai la porta è stata sfondata: consce della loro stessa autonomia di movimento, le università aprono la conquista verso l’universo della rete.

Nel 1985 Nicholas Neponte inaugura il Media Lab al MIT , prima istituzione dotalmente dediata allo sviluppo delle tecnologie digitali e di intrnet in particolare , per usi pacifici , e con una straordinaria capaciyà di comunicazione porta alla attenzione del mondo il ptenziale della rivoluzione digitale in rete.

Per la prima volta dalla nascita del fenomeno, anche la stampa quotidiana e quella non specialistica danno un rilievo eclatante alla rete. Il 1° novembre 1988, infatti, un brivido di terrore pervade la rete: un virus contagioso, il verme “worm” di Robert J. Morris, infetta un computer su dieci dei 60.000 collegati. I mass media si scatenano: nel linguaggio della carta stampata fanno la comparsa parole sconosciute ai più, si urla al flagello, si teme per il futuro.

Ma intanto la rete e i suoi problemi si avvicinano alla vita di tutti i giorni. Seri professionisti, casalinghe e ragazzini trovano questa notizia in mezzo a quelle sullo sport e la politica. Internet è per loro soltanto un mistero, ma ora sanno che esiste. La curiosità è messa in moto, e anche i sogni, gli incubi, i progetti.

I dati parlano chiaro: ben 100.000 sono gli hosts collegati alla rete. Ci siamo, dunque: alle soglie degli anni ’90, sta per verificarsi il vero e proprio Big Bang.

Gli anni ’90: la febbre dell’oro

I problemi più immediati che si pongono ad una rete che cresce esponenzialmente sono la semplicità, l’organizzazione e la affidabilità.

Internet offre per il momento tre funzioni distinte: quella di e-mail, il trasferimento di file e il collegamento a distanza.

Manca totalmente, però, un catalogo o uno strumento capace di dare ordine all’enorme massa di file e messaggi che transita da un luogo all’altro. Insomma, sono stati sconfitti la distanza e il tempo, ma il caos regna sovrano. Fanno la comparsa, così, agli inizi degli anni ’90 rudimentali registri, fino a quando Peter Deutsh, dell’università McGill di Montreal, partendo dall’idea che Internet sia un enorme database, crea “Archie”, che richiama per assonanza la parola archivio ma anche un buffo e amato personaggio dei cartoni animati americani.

L’anno successivo, per iniziativa degli informatici del Minnesota, appare Gopher, che è il nome di un piccolo roditore delle pianure del Nord America, mascotte della squadra di football dell’università medesima e simbolo della capacità di scavare nei meandri polverosi della rete virtuale.

Ma anche Gopher è destinato a tramontare.

Questa volta la mossa vincente spetta tutta all’Europa.

Già nel 1991, a Ginevra, Tim Berners-Lee, laureatosi ad Oxford e ricercatore del CERN pubblica “WorldWideWeb: proposta per un progetto di ipertesto”. Il lavoro nasce dall’esigenza pratica interna al CERN stesso di offrire un sistema di consultazione e memorizzazione di tutti i documenti pubblicati.

Berners-Lee propone l’ipertesto, ossia un programma che permetta l’interazione tra chi entra in rete e chi immette documenti a disposizione. Si tratta, in altre parole, di un corpo unico formato da un insieme di rimandi possibili che permettono di spostarsi da un testo all’altro, secondo la scelta dell’utente.

La ragnatela è tessuta: dopo averlo sperimentata all’interno del CERN, il WWW fa il suo ingresso in rete, supportato dalla norma SGML poi HTML, ( Hypertext Markup Language) su cui si articola attualmente l’intera rete.

Ma Berners-Lee è persona molto riservata, una creatura d’ombra. Con il suo fare modesto e discreto, non si lascia accalappiare da nessuna iniziativa aziendale miliardaria.

Continua invece concentrarsi sulle sue ricerche: nel 1994 diventa il primo direttore del Consorzio del World Wide Web, organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di sviluppo del software e degli standard. Intanto, però, la bomba è innescata, e numerose leggende si alzano, parallelamente a questa storia ufficiale, voci che raccontano come anche il consorzio necessitasse di appoggi politici e finanziari.

Nel marzo 1994, avviene uno strano incontro sulle montagne della Grecia: il direttore del Laboratorio informatico del MIT, Michael Dertouzos greco di nascita e americano d’adozione, e un suo vecchio amico d’infanzia, George Metadikes, greco anche lui e a capo dell’Esprit (European Commission’s Program on Information Technology) discutono del modo per creare un asse americano – europeo che garantisca davvero uno standard internazionale alla rete .

Dopo l’uscita del CERN dalla ricerca informatica, si trova un partner europeo ai laboratori del MIT nel francese INRIA, (Institut National de Recherche en Informatique et en Automatique). Tutte queste strategie, frutto dell’incontro sulle montagne greche, garantiscono un rilevante appoggio ufficiale dell’Europa e dell’America, che porteranno questo episodio a testimonianza della loro capacità di cooperazione.

Se tutti questi giochi, anche politici, si muovono, in realtà, è perché oramai si sa con certezza che la Rete è l’Eldorado di fine millennio.

Il problema che ancora blocca l’esplosione commerciale di Internet è l’estrema difficoltà dei programmi di navigazione, che dovrebbero, al contrario, agevolare, in modo accattivante e intuitivo, lo spostamento da un documento all’altro. La situazione si sblocca con Mosaic, un browser ideato dagli informatici del NCSA (National Center for Supercomputing Application) e che permette di muoversi in rete semplicemente cliccando il mouse.

Ma per qualcuno Internet è diventata in realtà l’isola del tesoro.

Dalla diffusione dei browser, il traffico in rete aumenta ad un tasso annuo superiore al 300% e si sente il tintinnio dei dobloni d’oro.

Troppo spesso il profilo commerciale viene visto come deleterio nello sviluppo di un fenomeno o di una cultura. In realtà, talvolta è una molla di semplificazione e perfezionamento, una spinta a migliorare il risultato finale per renderlo più appetibile al consumatore. E questo accade esattamente in rete.

E’ del 1994 il primo grande passo verso la commercializzazione della rete: si tratta di Netscape Navigator di Mark Andreessen, programma usatissimo di navigazione, che, quotato in borsa nell’agosto dell’anno successivo, ottiene un risultato da record. Dopo Netscape è la volta di Internet Explorer.

Successivamente, vengono immessi in rete i programmi-guida di reperimento immediato delle informazioni, i così detti motori di ricerca, tra cui Yahoo e Lychos, cui fanno seguito Altavista e altri.

Nel 1995 la “privatizzazione” è conclusa: la NSF smette di gestire la rete e interrompe anche i finanziamenti per la ricerca.

La gestione passa così nelle mani delle società telefoniche private e da sottoreti indipendenti gestite da providers.

Nel ’96 fanno l’ingresso in scena i rivoluzionari linguaggi JAVA e il VRML ( Virtual Reality Modelling Language), che consentono di introdurre la terza dimensione negli spazi virtuali. In quell’anno si contano 10.000.000 hosts collegati, più della metà negli Stati Uniti.

Si sviluppa, intanto, il concetto di Intranet: dietro a questo nuovo uso, c’è l’applicazione perfetta della logica privata, ossia il tentativo di portare all’interno di singole realtà aziendali tutti i vantaggi di velocità, sicurezza e pronta disponibilità dei dati tipici della rete. Intranet è infatti una vera e propria rete singola che si organizza sui medesimi standard di comunicazione tipici di Internet.

Ma questo forse più che storia è presente, o anche già futuro.

Ha detto Vinton Cerf, in una intervista della fine del 1995, rilasciata a “Le Monde”: < > .

Forse questo sta divenendo la rete: luogo simbolico, oltre che tecnologico, spazio per i miti futuri che, come in uno specchio d’acqua, ripropongono, trasposti e mutati, gli eterni e radicati dubbi sull’esistenza e il tempo, e le relazioni, che oramai si può dire appartengano alla nostra specie quanto il sangue e la magia di scoprire, inventare, altri verbi che identificano sempre e comunque la passione, quella strana, strana voglia di andare.

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