Tassare la pubblicità digitale per frenare le big tech

Il governo degli Stati Uniti sta cercando modi per tenere a freno le più grandi aziende tecnologiche, incoraggiare la concorrenza e l’innovazione e aiutare la democrazia. Un economista premio Nobel avanza una proposta originale.

di Laurel Ruma, direttrice di MIT Technology Review Insights e Omidyar Network

Negli ultimi anni, economisti e leader di governo hanno regolarmente lanciato allarmi sui pericoli dei grandi monopoli tecnologici. Sul suo sito web della campagna 2020, per esempio, la senatrice Elizabeth Warren ha affermato che “le grandi aziende tecnologiche hanno troppo potere sulla nostra economia, sulla nostra società, sulla nostra democrazia”. Nei mesi successivi alle elezioni, i politici bipartisan hanno espresso preoccupazioni su come incoraggiare la concorrenza e l’innovazione tra i grandi leader tecnologici e persino su come difendere gli ideali democratici di fronte alla disinformazione digitale e alle teorie del complotto.

La sfida con un’azienda come Facebook è che il suo modello di business incoraggia attivamente il tribalismo e la rabbia, che non è il modo in cui di solito funzionano i mercati, afferma Paul Romer, professore di economia alla New York University, che in precedenza è stato capo economista della Banca Mondiale ed è stato insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2018, insieme a William Nordhaus. “Quando gli economisti difendono il mercato, abbiamo tutti in mente un’idea molto semplice del suo funzionamento, in cui io come acquirente do qualcosa e ricevo qualcosa di buono”, dice. “Nessuna di queste caratteristiche vale per questo nuovo mercato per i servizi digitali, in cui la pubblicità è il metodo nascosto per ottenere compensi per queste aziende. Gli utenti vengono manipolati in modi che non comprendono appieno”.

Gli enti regolatori non riescono a intervenire perché le grandi aziende tecnologiche sono troppo potenti, sostiene Romer, mentre le tradizionali leggi antitrust non sono adatte ad affrontare questo problema. Ma una tassa progressiva sugli introiti della pubblicità digitale, approvata dai legislatori statali, potrebbe creare un incentivo unico per aziende come Google e Facebook a dividere le loro attività e scoraggiare la crescita per acquisizione.

Un tale modello fiscale progressivo, tuttavia, deve essere aggressivo: “Il tipo di tassa in grado di creare un grande incentivo a cambiare. Per esempio, nel caso di Google e Facebook, le due più grandi aziende in questo mercato, dovrebbe essere una tassa in cui l’aliquota fiscale media rappresenti il 35 per cento delle loro entrate”.

Di seguito proponiamo la trascrizione del podcast

Sono Laurel Ruma di MIT Technology Review e questo è Business Lab, lo spazio in cui si approfondiscono le nuove tecnologie che escono dal laboratorio e nel mercato. Il nostro argomento di oggi è tassare la pubblicità digitale. È possibile riscuotere tasse specificamente mirate a smantellare le big tech per incoraggiare la concorrenza, l’innovazione e aiutare la democrazia? Le cinque più grandi aziende tecnologiche, Facebook, Amazon, Apple, Alphabet/Google e Microsoft, valgono insieme 7 trilioni di dollari. Quali efficienze economiche si possono ottenere nella lotta per l’equità? 

Il mio ospite è Paul Romer, un professore di economia alla New York University che è stato capo economista della Banca Mondiale. Paul ha anche ottenuto il Premio Nobel 2018 per l’economia per il suo lavoro sull’integrazione delle innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica di lungo periodo, chiarendo i possibili benefici per la società quando le persone si uniscono per collaborare in modi nuovi.

Lurel RumaBenvenuto al Business Lab, Paul.

Paul Romer: Sono felice di essere qui.

LR: La senatrice degli Stati Uniti Elizabeth Warren ha detto: “Le grandi aziende tecnologiche hanno troppo potere sulla nostra società, sulla nostra democrazia”. Qual è il pericolo dei monopoli delle Big Tech?

PR: La frase della senatrice Warren coglie il punto più importante. Il vero pericolo è la minaccia alla nostra democrazia. Subito dopo viene la minaccia al tessuto sociale che determina la nostra qualità di vita. Uno dei problemi con l’economia e il modo si è mosso l’antitrust è che ci si è concentrati su questioni molto ristrette: le aziende chiedono troppo per alcuni servizi? E questo significa che alcune persone li utilizzano parzialmente? Ma ciò rappresenta solo una piccola parte del danno che viene fatto. Queste grandi e aziende stanno portando avanti un particolare modello di business, basato sulla pubblicità digitale mirata, che ha creato una serie di incentivi sbagliati e che introduce rischi per il nostro sistema democratico.

Quali rischi?

La natura del modello pubblicitario è che queste aziende vogliono mantenere le persone impegnate a guardare lo schermo, in modo che vedano più annunci. Facebook ha scoperto, e la loro ricerca è pubblica, che se si alimentano contese, animosità e rabbia, le persone rimangono collegate per un periodo di tempo più lungo. E così abbiamo un modello di business che incoraggia attivamente alcuni dei lati più dannosi della natura umana, vale a dire il tribalismo, l’odio, la tendenza a trattare l’altro come un nemico quasi disumano. Non è questo il modo in cui di solito funziona l’economia. 

Gli economisti difendono il mercato come qualcosa in cui un acquirente offre qualcosa a un venditore in cambio di altro. E poi, se non gli piace quello che riceve, cambia fornitore. Nessuna di queste caratteristiche vale per questo nuovo mercato per i servizi digitali, dove la pubblicità è il metodo nascosto per ottenere compensi per queste aziende e gli utenti vengono manipolati in modi che non comprendono appieno.

Quindi che tipo di azioni normative dovevano essere intraprese per far fronte alla crescita di alcune di queste enormi aziende?

Ad essere onesti, tendo a guardare avanti, Le decisioni che abbiamo preso in passato sono state un errore, ma penso che il passo importante sia decidere cosa fare ora.

Non abbiamo aspettato troppo?

Penso che siamo stati negligenti. Dobbiamo fare qualcosa per fermare la traiettoria su cui siamo. E’ stato un grosso errore da parte nostra non aver agito prima. Ma, ripeto, la vera domanda è: cosa facciamo adesso?

Ci sono due problemi seri. Uno è il modo in cui queste enormi aziende fanno i soldi, e poi le loro dimensioni.

Questo modello di business, basato sulla pubblicità digitale mirata, ha creato enormi incentivi a spiare le persone e raccogliere informazioni. Alcuni anni fa, dissi che queste aziende sanno di me più di quanto la Stasi sapesse delle persone nella Germania dell’Est. E non era un’affermazione scontata allora. Ora tutti lo accettano. Pensano che questa sia solo l’inevitabile conseguenza del mercato e della tecnologia. Ma l’indignazione è venuta meno e molti hanno perso il senso di quanto sia pericoloso lasciare che un piccolo gruppo di persone abbia così tante informazioni che possono usare per manipolarci.

Abbiamo pensato: “Beh, i servizi sono gratuiti, quindi che problema c’è se gli lascio qualche dato”.  Ma non è più di questo che stiamo parlando, vero?

E’ complicato. Stiamo parlando di un costo per la società, perchè consentire loro di avere informazioni su tutti noi significa concedergli un enorme potere monopolistico. Possono raccogliere enormi guadagni e accumulare ricchezza. Ma offre loro anche la possibilità, per esempio, di visualizzare annunci politici mirati, in cui a un gruppo demografico viene mostrato un messaggio di un candidato che il resto di noi non vede mai. 

E quegli annunci, proprio come la strategia di coinvolgimento emotivo, fanno spesso appello all’animosità, al tribalismo, alla rabbia. Ancora una volta, stiamo usando la pubblicità per sviluppare il lato peggiore della natura umana. E non si deve andare molto lontano nella storia per vedere come vanno a finire le cose quando si amplifica e normalizza la logica del “noi contro loro”.

Stavo pensando al caso di Boeing, anche se può sembrare lontano come esempio. Cosa ha significato?

Dopo la crisi finanziaria del 2008, ho scritto un documento dicendo che le due agenzie, la FFA, insieme all’NTSB, il National Transportation Safety Board, erano il gold standard per la regolamentazione. Dovremmo cercare di avere un tipo di struttura simile per il controllo dei mercati finanziari. Bene, in un decennio e mezzo, quello che è successo è che Boeing, in virtù della concentrazione di interessi, è stata in grado di muoversi attraverso i meandri del Congresso e far passare l’idea che la regolamentazione rallenta l’innovazione. 

E senza alcuna supervisione normativa, Boeing ha costruito un aereo che si è rivelato incredibilmente pericoloso e ha ucciso persone. Quindi è una storia dell’erosione della capacità normativa che è stata ottenuta attraverso mezzi piuttosto semplici, per esempio, tagliando o eliminando il budget della FAA, che quindi non ha potuto assumere abbastanza persone per fare il lavoro che erano stati assegnati a fare, per regolamentare Boeing. 

Quello che ci dice l’episodio della Boeing è che un’azienda abbastanza forte può effettivamente corrompere ed eludere qualsiasi sistema normativo, e spesso può bloccare gli enti regolatori. Quindi sono molto pessimista sul fatto che qualsiasi organismo di regolamentazione possa effettivamente imbrigliare e controllare queste aziende. 

Per questa ragione, penso che Facebook stia sostenendo una regolamentazione perché sa che è la misura che la lascerebbe nella posizione più forte. Cosa possiamo fare allora con queste aziende? Come ho già detto: “Abbiamo un sistema con controlli e contrappesi, con una sorta di ramo esecutivo, dove siedono gli organismi regolatori. C’è la magistratura che segue i casi antitrust. Infine c’è il legislatore. Ma ritengo che i sistemi di controllo non funzionano perché le aziende con cui abbiamo a che fare sono già troppo potenti. 

Oggi la magistratura e le tradizionali leggi antitrust non sono adatte ad affrontare questo problema. Quindi la via da seguire è dire ai nostri legislatori: “Non vogliamo vivere in una società come questa, dove pochi individui hanno così tanto potere e dove stanno usando questo potere di minare la qualità della vita sociale e minacciare la nostra democrazia. Approvate una legge che fermi questo cattivo comportamento”.

Lei ha parlato di una tassa progressiva sulla pubblicità. Come dovrebbe funzionare?

Quando si impone una tassa, si deve prevedere che le persone cercheranno di non pagarla. Quindi ne ho progettata in cui le cose che avrebbero fatto per cercare di evitare di pagarla sono esattamente le cose che voglio che facciano. Innanzitutto la tassa deve essere progressiva. Maggiore è il reddito pubblicitario totale che l’impresa ricava, maggiore è l’aliquota fiscale. Quindi, se una di queste aziende si divide in due, come nel caso che Facebook lasciasse Instagram, il carico fiscale totale per le due aziende sarebbe inferiore quando sono divise. Quindi la progressività della tassa incoraggia le scissioni, le spin out. Scoraggia la crescita per acquisizione.

L’altra cosa è che ho suggerito che fosse una tassa sulle entrate della pubblicità digitale. Quindi, se queste aziende non vogliono pagare questa tassa, dovrebbero passare a un modello di abbonamento, sulla falsariga di quello utilizzato da Netflix o da un servizio come Duolingo, in modo che le persone effettivamente paghino qualcosa per avere accesso a un servizio di valore. Questa tassa deve essere alta al punto da creare un incentivo vero a cambiare.

Sono rimasta assolutamente affascinata da questo modello e dal fatto che sia già presente nello stato americano del Maryland. Il legislatore statale sta valutando di creare una tassa sulla pubblicità sulle società tecnologiche (Senate Bill Two) che funziona in questo modo: tra il 2,5 e il 10 per cento da applicare alle vendite di annunci digitali nello stato del Maryland sugli indirizzi IP. Si tratta di un’enorme quantità di denaro, qualcosa come 250 milioni di dollari all’anno. Che ne pensa?

In realtà hanno approvato questo disegno di legge. Il governatore ha posto il veto alla fine dello scorso anno, ma il legislatore ha annullato il veto, quindi ora è legge nel Maryland. Sarà contestato dalle aziende tecnologiche, che di solito operano attraverso alcune organizzazioni di facciata che utilizzeranno per contestarlo in tribunale. Quindi la strada è ancora lunga. 

Ritengo che ci sia la possibilità che l’attuale disegno di legge venga ribaltato in tribunale. Ci saranno molte risorse legali che verranno impiegate per cercare di combatterlo. E una delle cose che ho detto ai legislatori in privato è di aspettarsi una decisa reazione e di pensare a una nuova versione del provvedimento. E’ un piano di battaglia a lungo termine che dobbiamo avere, e non dovremmo preoccuparci di battute d’arresto lungo la strada.

L’altro punto è che le tasse scoraggiano a fare le cose. Se si mette una tassa sull’andare a scuola, la frequenza scolastica calerebbe. Sarebbe una pessima iniziativa. Ma questa tassa scoraggia le iniziative cattive. La paragono all’idea di Bill Nordhaus, con cui ho ricevuto il Premio Nobel, di una tassa sulle emissioni di carbonio, che ha la stessa motivazione, ovvero impedire alle persone di fare qualcosa che è molto dannoso per tutti noi.

Un aspetto importante è che le aliquote fiscali che pensavano fossero politicamente fattibili nel Maryland sono francamente troppo basse per fare molta differenza per queste aziende tecnologiche. Anche se ogni stato degli Stati Uniti o il governo federale adottassero una tassa alle aliquote che stanno osservando, progressiva dallo 0 al 2 al 10 per cento, sarebbe un piccolo cambiamento per queste aziende tecnologiche.

Per questa ragione ho una nuova proposta che sto per lanciare al governo nazionale: imporre tasse molto più alte in grado di cambiare il comportamento di queste aziende tecnologiche. E un’altra cosa di cui potremmo voler parlare è perché è così importante tassare il fatturato piuttosto che l’utile delle aziende perché l’imposta sul reddito delle aziende è un modo profondamente imperfetto e fallimentare per cercare di tassare le società.

Questo sembra essere un problema negli Stati Uniti che sta emergendo sempre di più, poiché le aziende cercano modi creativi per evitare di pagare sui redditi aziendali.

È davvero una battaglia persa perché concettualmente, il reddito è la differenza tra le entrate e i costi. Ma se entrate e costi avvengono in luoghi diversi è difficile stabilire qual è il reddito ricavato. Questa situazione crea l’opportunità per le aziende di spostare la sede legale del reddito e di trasferirla in giurisdizioni a bassa tassazione. Si innesca così una corsa al ribasso, in cui diverse giurisdizioni sono in competizione per offrire aliquote fiscali sempre più basse.

Alcune persone pensano che si possa correggere questo problema e provare a limitare questo comportamento. A mio parere, è una battaglia persa e abbiamo davvero bisogno di passare a qualcosa come la tassazione delle entrate perché sappiamo dove vengono raccolte. Sappiamo che ci sono annunci pagati dalle aziende che vengono mostrati a persone nel Maryland, nel Massachusetts o in California. Questo autorizza ciascuno di quegli stati a tassare le entrate che vengono sostenute in quegli stati, senza affrontare alla base il problema della corsa al ribasso.

Se si aumentano le tasse, lo si fa per una buona ragione perché l’istruzione ha bisogno di più soldi e queste grandi aziende non stanno pagando la loro giusta quota. Il 10 per cento può sembrare alto, ma non quando si parla di centinaia di miliardi di dollari. Ma questo è solo l’ inizio. Dico bene? La rete Omidyar sta esaminando come implementare effettivamente varie idee politiche per riequilibrare questa iniquità. Lei ne vede altre?

È necessario ricordare che in questo modo non si risolveranno i problemi associati ad aziende così grandi e potenti. Apple, per esempio, non acquisisce molte entrate attraverso la pubblicità e ha una posizione di mercato molto forte, per cui sono necessarie altre misure per limitarne il potere. Francamente non sono così preoccupato per Apple perché l’azienda non sta distruggendo la nostra democrazia e minando la qualità della vita. Ma ci sono ugualmente ragioni di fondo per non volere aziende così potenti.

Amazon, per esempio, sta ora raccogliendo una quota crescente delle sue entrate attraverso la pubblicità, ma aveva anche posizioni molto forti come piattaforma d’incontro tra acquirenti e venditori. Quindi rimarrebbe influente, anche se abbandonasse le entrate pubblicitarie digitali. In entrambi i casi, in termini di misure specifiche che si potrebbero adottare, l’unica parte della legge antitrust che è stata significativamente sottoutilizzata e dovrebbe essere ripristinata è la revisione delle fusioni. Dovrebbe essere molto più difficile per una di queste aziende dominanti acquisire una nuova azienda che potrebbe potenzialmente diventare un concorrente, come lè successo con l’acquisto di Facebook di Instagram o WhatsApp.

In un sistema correttamente funzionante, queste fusioni e acquisizioni non avrebbero dovuto essere consentite. La parte che credo superata dell’antitrust è il tentativo di intentare una causa e convincere un giudice ad accettare di separare di nuovo le aziende in base al “reato” commesso. Questo è un modo molto rozzo per cercare di limitarne le dimensioni e mette i giudici in una posizione davvero insostenibile per loro. Si tratta di un tipo di sanzione molto complicato da infliggere, e quindi la loro tendenza è stata anche nei casi in cui c’è una palese violazione della legge antitrust, come è successo con Microsoft, di rifiutare di sanzionarla. Nelle corti d’appello, hanno detto di no alle richieste del Dipartimento di Giustizia.

Penso che questo sia il problema che dovremo affrontare con qualsiasi causa che ora cerchi di costringere Facebook a separarsi da Instagram. Quindi l’unico modo che vedo per dividerle è creare un incentivo molto forte, in modo da far risparmiare loro 10 miliardi di dollari l’anno in tasse se fossero due aziende e non una.

Tornando alla tassa progressiva sulla pubblicità, come funziona? E sarebbe necessariamente federale, o potrebbe essere definita stato per stato, o per comune?

Penso che potrebbe essere l’uno o l’altro. Ed è per questo che è così importante fare riferimento al fatturato perché diverse giurisdizioni potrebbero prendere le proprie decisioni su questo. Questo ha implicazioni anche a livello internazionale. Gli Stati Uniti potrebbero decidere quanto vogliono tassare le entrate pubblicitarie, ma il Canada potrebbe decidere altro e così Germania e Francia. E’ il momento di uscire da un sistema in cui devi avere questi trattati fiscali internazionali in cui tutti sono d’accordo a fare la stessa cosa per far funzionare il sistema fiscale.

Il tipo di tassa che propongo creerebbe un grande incentivo a cambiare in aziende della grandezza di Google e Facebook, le due più grandi aziende in questo mercato. Penso che questa debba essere una tassa in cui l’aliquota fiscale media da pagare in questo momento, data la loro dimensione, sia dell’ordine del 35 per cento. Quindi il 35 per cento delle loro entrate verrebbe riscosso dal governo se non cambiano, se si limitano a fare affari come al solito. 

Per arrivare a un’aliquota fiscale media, l’aliquota aumenta gradualmente a partire da una grande fascia in cui non ci sono affatto tasse, e poi si sale al 5 e poi al 10 per cento. Per arrivare a un’aliquota media del 35 per cento, è necessario disporre di aliquote marginali, come l’imposta sulla fascia di reddito più elevata. Servono aliquote marginali del 50, 60 e persino vicine al 70 per cento.

Quindi deve essere una tassa molto aggressiva. Le proteste saranno generalizzate, ma ci sono un paio di modi semplici per rispondere. Le aziende diranno: “Se prendete il 30 o il 40 per cento delle nostre entrate, ci uccidete”. Beh, in realtà non è vero: il 30 o il 40 per cento delle loro entrate li riporterebbe semplicemente a ciò che stavano guadagnando nel 2019 e nel 2020. Da allora, hanno registrato un’enorme crescita. Tutti pensavano che fossero fattibili nel 2018, 2019, 2020, quindi non può essere vero che togliendo il 30 per cento delle loro entrate, improvvisamente le entrate che erano grandi tre anni fa diventano impossibili in questo nuovo modello. E, naturalmente, questo perché hanno principalmente costi fissi.

Quindi rimarrebbero vitali, pur pagando il 30-40 per cento delle loro entrate al governo. Le tasse potrebbero essere utilizzate per finanziare il costo delle infrastrutture, che si attestano tra i 50 e i 60 miliardi di dollari e crescono ogni anno di entrate fiscali. L’altro aspetto di una tassa aggressiva è che significa che un’azienda delle dimensioni di Google e Facebook potrebbe pagare dai 12 ai 15 miliardi di dollari di tasse all’anno. Se si dividono a metà, l’importo potrebbe scendere a 6 miliardi di dollari. Se si dividessero in quattro parti, il conto totale delle tasse potrebbe arrivare a 2 miliardi di dollari.

C’è un film che mi piace, Chinatown, con Jack Nicholson, dove alla fine del film succede qualcosa di terribile a una donna innocente che viene uccisa. E Nicholson è devastato. E un amico gli dice: “Lascia perdere, Jake. È Chinatown”. Il messaggio è che non puoi fare nulla. Le forze che stai combattendo sono così potenti. Bene, questo è il tipo di messaggio che gli economisti mandano da decenni ormai. È il mercato, lascia perdere. Non puoi controllare cosa fa il mercato.

E a proposito, penso che nonostante la polarizzazione che stiamo vedendo in questo momento, questo problema potrebbe essere bipartisan perché la destra è stata acutamente consapevole dell’enorme potere, diciamo, che Mark Zuckerberg possiede, o che possiede Jack Dorsey su Twitter. E quindi ora riconoscono che ci sono alcuni aspetti di questo equilibrio di mercato che sono in contrasto con i principi di libertà di parola su cui questo paese è stato fondato. 

Parlando di rappresentanza, su cui si fonda l’America, ci sono state voci al Congresso che ritenevano queste aziende responsabili. Seguirà qualche tipo di azione concreta?

Non c’è ancora consenso su un’agenda per ciò che potremmo fare. Ci sono persone come la senatrice Warren, che hanno pensato a misure che potremmo adottare. Ma non c’è stata alcuna convergenza intorno a qualche misura pratica. Quindi dobbiamo arrivare al punto in cui si faccia effettivamente qualcosa che farà la differenza.

E’ un chiaro invito all’azione. Grazie, Paul, per essersi unito a noi oggi su The Business Lab.

Grazie a voi.

(rp)

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