Tecnologia per una transizione energetica di successo

Per azzerare le emissioni di anidride carbonica entro la metà del secolo, dovremo puntare anche sullo sviluppo di nuove tecnologie.

di Lisa Ovi

Tra mille controversie sull’effettivo valore degli accordi raggiunti alla COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima ha visto i governi del mondo prendere vari impegni a favore di mitigazione e conservazione, tra cui un impegno contro la deforestazione, abbattimento delle emissioni da metano, interruzione al finanziamento estero di progetti di estrazione di combustibili fossili e un accordo commerciale su acciaio e alluminio.

È particolarmente degno di nota il riconoscimento della necessità di ridurre entro il 2030 l’utilizzo del carbone e la finalizzazione delle regole necessarie ad un mercato internazionale dei crediti di carbonio.

Grandi protagoniste della conferenza sono state scienza ed innovazione, elementi fondamentali per comprendere il cambiamento climatico, le sue origini e le soluzioni che possano da un lato limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C, dall’altro coltivare la resilienza necessaria a fronteggiare le conseguenze attuali e future di un clima alterato.

Come riportato già in un rapporto del 2020 dell’International Energy Agency, conseguire gli obiettivi climatici richiede applicazioni tecnologiche massive e non solo in campo energetico.

Secondo il rapporto, infatti, una transizione del singolo settore energetico eliminerebbe solo un terzo delle emissioni globali. Trasporti, industria, cemento, agricoltura, ogni settore economico ha bisogno di essere trasformato in un’ottica di sostenibilità e come finanziare la finalizzazione delle tecnologie necessarie a questa transizione è stato uno dei grandi temi della recente conferenza.

Tra le tecnologie più discusse per conseguire l’obiettivo della decarbonizzazione entro la metà del secolo corrente, troviamo: batterie ad alta carica energetica, idrogeno pulito come combustibile o materia prima per processi industriali, biocarburanti liquidi per l’aviazione e apparecchiature che catturano a basso costo le emissioni di anidride carbonica dalle fabbriche e dalle centrali elettriche alimentate a gas o carbone.

Come ben sottolineato in occasione dell’evento organizzato da Eni all’ex-gazometro di Roma  in collaborazione con la IEA: “World Energy Outlook 2021 – L’Italia e la transizione energetica tra Cop26 e scenari globali“, in questa fase di transizione, un fattore di primaria importanza è la collaborazione tra le parti, tra pubblico e privato ed a livello internazionale. Né è da sottovalutare il ruolo che i grandi inquinatori possono assumersi nel segnare il passo per il resto del mondo.

Come ha ricordato Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, la transizione tanto auspicata non può avvenire tutta d’un colpo, si tratta di un processo che richiede tempo e importanti investimenti nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie ed alternative valide. Eni stessa ha avviato tale processo già nel 2014, con una strategia che quest’anno ha visto l’azienda accelerare i propri obiettivi di conseguimento dell’obiettivo Net Zero al 2050.

Che lo sviluppo di tecnologie verdi possa rivelarsi chiave ad una svolta netta nella lotta al cambiamento climatico è un dato ormai supportato da innumerevoli studi. La rivista Nature offre una panoramica di costi, materiali ed innovazioni coinvolte nel processo di transizione verso un’economia sostenibile. Per l’Europa, in particolare, lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile significherebbe non solo fare la propria parte nel mitigare il cambiamento climatico, proteggere l’ambiente e la salute dei propri cittadini, ma anche porre le basi di una indipendenza energetica da fonti di energia scarse sul proprio territorio come petrolio e gas e scoraggiare il ripiego sul carbone, geograficamente distribuito in modo molto  più ampio, ma con evidenti problematiche ambientali.

Ecco dunque la scelta dell’Unione Europea di farsi pioniere nel campo dell’idrogeno, un vettore energetico prodotto dall’elettrolisi dell’acqua che, quando utilizzato, torna a produrre… acqua. La Strategia Europea per l’idrogeno vede già volare i primi prototipi Airbus e prevede l’introduzione massiccia del vettore energetico nell’economia europea a partire dal 2030. L’apporto di aziende come Eni, firmataria della European Cleean hydrogen Alliance, è fondamentale sia nel campo della ricerca che nella realizzazione delle infrastrutture necessarie a rendere l’idrogeno liberamente accessibile sul continente.

Sul fronte delle energie pulite, Eni, in particolare, è impegnata in una sfida ben più impegnativa, rischiosa e lungimirante, quella della fusione a confinamento magnetico. Risultato di decenni di ricerca, il progetto della fusione mira ad accendere una piccola stella sulla Terra, ottenendo così una fonte di energia sicura sostenibile e inesauribile. Condotto in collaborazione con una spin-off del MIT, il CFS, il progetto ha conseguito proprio la scorsa estate un traguardo fondamentale alla realizzazione entro il 2025 di SPARC, il primo reattore sperimentale, e quindi – entro i primi anni del 2030 – di ARC, il primo reattore pilota vero e proprio.

Al Sole ed al suo potenziale energetico si ispirano anche la ricerca di nuove tipologie di celle fotovoltaiche, come OPV (cellule fotovoltaiche organiche), o LSC (Concentratori Solari Luminescenti) o dispositivi solari termici come CSP (Specchi Solari a Concentrazione), in riconoscimento delle diverse necessità ed occasioni offerte da ambienti, posizioni ed attività disponibili. I laboratori di Eni non lasciano indietro alcuna possibilità, perseverando anche nella ricerca di progetti sfuggenti come quello di creare vere e proprie foglie artificiali, per riprodurre il processo di fotosintesi dei vegetali.

La risoluzione di Eni di prendere la via della transizione energetica e finanziare in modo massiccio ricerca e collaborazioni ha trasformato l’azienda in un microcosmo di questa realtà globale che cerca alternative sostenibili in ogni possibile ambito, dai più noti come lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica, ai meno noti, come la realizzazione di dispositivi che traggono energia dal moto ondoso dei mari.

Ma occuparsi di produzione di energia rinnovabile significa anche trovare il modo di conservarla. Servono nuove batterie per restituire l’energia accumulata da fonti di energia incostanti come vento e Sole. La soluzione di Eni è puntare sulle batterie a flusso. Facilmente ricaricabili, queste batterie non subiscono il processo di autoscarica come le batterie tradizionali e possono essere costruite su misura in risposta a qualunque richiesta di potenza e accumulo.

La natura è una grande fonte di ispirazione per progetti volti a rendere le attività industriali compatibili con l’ecosistema circostante, ma il mondo sostenibile che comincia a profilarsi al nostro orizzonte non è ancora pronto. In attesa dell’azzeramento delle emissioni, una delle tecnologie più importanti in via di sviluppo è quella della cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2 emessa.

Fermare le emissioni prima che possano raggiungere l’atmosfera rappresenterebbe un primo importante passo nel mitigare il cambiamento climatico. Evitare di bruciare i rifiuti e sviluppare tecnologie per trasformarli in materie utili da reimmettere nel ciclo aprirebbe le porte al vero significato di economia circolare.

Appartiene ad un’ottica simile l’idea di trasformare le raffinerie Eni in bioraffinerie, come avvenuto a Venezia, dove ogni anno vengono trattate e convertite in carburante circa 360.000 tonnellate di materia prima di origine biologica. Si tratta di scarti della produzione alimentare, come oli usati, grassi animali e altri sottoprodotti avanzati processati grazie ad una tecnologia realizzata da Eni e chiamata Ecofining. A Gela, Eni prevede invece di trattare 150.000 tonnellate all’anno di FORSU (Frazione Organica di Rifiuto Solido Urbano), gli scarti umidi di cucina, grazie ad un impianto Waste to Fuel, ad ora realizzato su scala di impianto pilota.

Un evento come la COP26 che ha visto la partecipazione di rappresentanti di 197 nazioni porta alla ribalta in un colpo solo la portata di una crisi globale come quella del cambiamento climatico, in un intrico di minacce alla sopravvivenza e interessi economici, politici, culturali. È in occasioni come questa che la portata e complessità della crisi si fanno pienamente manifeste e si consolida la consapevolezza di dover procedere verso la trasformazione radicale di ogni aspetto della vita economica e sociale che non sia improntato alla sostenibilità, allacciando alleanze e stringendo collaborazioni che possano favorire la massima espressione della creatività ed ingenuità umana.

(lo)

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