Tecnologia, territorio, convivenza

La tecnologia può cambiare il nostro modo di vivere e di convivere, ma pochi riflettono sul fatto che potrebbe già cominciare a farlo.

Questa considerazione, risulterebbe utile applicarla anche per quanto riguarda i processi federali in atto nel nostro paese. Infatti, ritengo che le nuove tecnologie possano adeguatamente contribuire all’attuazione di questo processo. Pertanto, avvicinare le decisioni pubbliche a un livello più prossimo al cittadino, potrebbe essere, in teoria, indice di maggiore democrazia.

Per come si stanno sviluppando i processi federali all’interno del nostro paese, non sembra però che a maggiori poteri corrisponda una maggiore responsabilità delle classi dirigenti, né, tanto meno, una maggiore attenzione da parte dei cittadini nel valutare le scelte pubbliche. Ci si domanda se il federalismo possa essere una risposta adeguata per rimettere in moto processi economici e civili che consentano di fronteggiare adeguatamente le sfide della globalizzazione. Il patto sociale su cui si regge il sistema democratico postula da un alto classi dirigenti responsabili e dall’altro cittadini consapevoli, in grado di «controllare chi comanda». In questo quadro le nuove tecnologie potrebbero avere una funzione decisiva, mettendo in condizione di realizzare il concetto della «casa di vetro». Decliniamo, allora, il federalismo digitale attraverso una triplice interpretazione: federalismo come modernità, federalismo come responsabilità, federalismo come opportunità.

Il federalismo come modernità

Con la definizione «federalismo digitale» si fa direttamente riferimento al territorio collegato con l’evoluzione tecnologica e culturale. Occorre, pertanto, concepire il federalismo digitale come chiave della modernità, per il tramite di una classe dirigente dallo sguardo lungo, che riesca a cogliere le occasioni delle nuove tecnologie per reinventare non solo la pubblica amministrazione, ma lo stesso modo di essere delle istituzioni pubbliche. Pensiamo quindi a uno stato che ascolti i cittadini e che promuova con lungimiranza risorse e opportunità, utilizzando le nuove tecnologie, la comunicazione pubblica, il marketing, come strategie e strumenti del cambiamento.

In effetti, le autostrade informatiche stanno già concretamente innovando il modo di funzionare della pubblica amministrazione. In tale quadro, l’impiego delle nuove tecnologie nel settore pubblico diventa una evidente necessità, rappresentando un importante agente del cambiamento e, in aggiunta, il ruolo della pubblica amministrazione appare fondamentale nel progresso economico, che non può prescindere dall’adozione di efficaci politiche di comunicazione istituzionali.

L’esperienza degli Stati Uniti è esemplare al riguardo. Dal 1993 è stata effettuata una sistematica azione di informatizzazione del settore pubblico, che ha indubbiamente assecondato gli imponenti processi di crescita che si sono verificati negli ultimi anni. Infatti, è stato lanciato il programma National Performance Review, che ha innescato un gigantesco processo di innovazione nella macchina governativa americana e che già alla fine degli anni Novanta aveva fruttato «una riduzione del 16 per cento del suo personale (ovvero 365.000 addetti in meno) e minori spese pubbliche per 165 miliardi di dollari».

Le pubbliche amministrazioni non possono più essere gestite senza tenere conto del rapporto costi/benefici, anche alla luce dei processi di federalismo fiscale, che consentono al cittadino di seguire più direttamente le motivazioni, gli effetti e i costi delle politiche pubbliche, determinando quindi la tassazione dei contribuenti. Appunto per questo le nuove tecnologie diventano essenziali per effettuare questi controlli, consentendo agli strumenti della comunicazione pubblica e del marketing strategico di esplicare i propri effetti virtuosi.

Il federalismo come responsabilità

Il federalismo, quindi, non si può realizzare senza collegarlo ai temi economici, considerando che dovrebbero determinare delle economie di scala e non invece, come purtroppo sta avvenendo in Italia, un aumento di costi. Infati, tra il 2000 e il 2004 i debiti degli enti locali sono passati dal 3 per cento al 5,3 per cento e la spesa è aumentata dal 1999 al 2004 del 32 per cento per le regioni, del 57 per cento per le province, del 22 per cento per i comuni. Secondo quanto ha dichiarato il presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, in un’audizione al Senato nel marzo del 2004, il debito delle regioni dal 1999 al 2003 è aumentato del 100 per cento. Il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, relativamente ai costi del federalismo, a più riprese ha sostenuto che bisogna evitare l’aumento degli oneri finanziari per la pubblica amministrazione, che deriverebbero da una duplicazione di competenze o da una moltiplicazione delle strutture amministrative.

Scriveva Sabino Cassese già nel 2004: «Materie come energia, telecomunicazioni, infrastrutture e grandi reti sono affidati alle regioni o a mezzadria fra lo stato e le regioni. Qui occorrerebbe restituire al centro quello che le periferie non possono fare. Quasi ogni nuova legge approvata in questi ultimi anni, invece, assegna nuovi compiti al centro e la riforma costituzionale del 2001, quella fatta dal governo Amato, è ancora sulla carta. È evidente costatare che le regioni costeranno molto se gli uffici statali corrispondenti non verranno chiusi. Si discute delle competenze delle regioni, ma non di quanto siano attrezzate. Con lodevoli eccezioni, le strutture regionali sono precarie, mal gestite, dominate dal clientelismo a Nord e a Sud. Si dà così ragione a quanti si chiedono perché non si rafforzino i comuni, che hanno una lunga tradizione e spesso maggiore efficacia dello stato, piuttosto delle regioni».

Eppure le nuove tecnologie potrebbero ridurre i costi, anche attraverso le modalità del telelavoro, decentrando le funzioni e determinando degli scambi di informazioni più veloci e sicuri. E dalla circostanza che, attraverso la finestra straordinaria di Internet, i processi delle decisioni e dei costi pubblici sono maggiormente controllabili, potrebbe derivare una maggiore responsabilità dei decision makers pubblici, che invece diventano sempre più autoreferenziali, autoconservativi e anziani, accentuando oltre il sostenibile le rendite di posizione.

Il federalismo come opportunità

Il federalismo innervato dalle nuove tecnologie potrebbe rappresentare un modello per promuovere lo sviluppo, soprattutto delle regioni più deboli, come quelle del Sud. Il tema centrale è però quello di definire la responsabilità della classe dirigente, che storicamente nel Sud si è dimostrata inadeguata. Occorre allora formare una classe dirigente che sia in grado di governare gli impatti che la modernità sta imponendo alla società, in cui i media modificano costumi, mentalità, abitudini e quindi anche il funzionamento e i costi delle organizzazioni pubbliche e private. Credo, quindi, che il problema della formazione sia prioritario rispetto alla definizione dei sistemi politici (per non dire dei modelli elettorali) e che perciò sia fondamentale il tema dell’educazione alla democrazia.

In questo quadro, hanno un ruolo fondamentale le nuove tecnologie, che però servono alla democrazia solo se sono specificamente programmate. Se, infatti, per le regioni del Mezzogiorno, una riforma federale potrebbe essere utilissima e fortemente auspicabile, nel suo complesso il sistema dell’istituto regionale ha inciso non positivamente nel funzionamento delle istituzioni del nostro paese. Ha scritto ancora Sabino Cassese: «Alle regioni veniva chiesto di fare meglio dello stato centrale, ma hanno fatto complessivamente peggio. Le regioni dovevano ascoltare esigenze diverse, ma hanno finito per copiare l’una le leggi dell’altra. Quali conseguenze possono avere ora per il Sud ulteriori trasferimenti di funzioni dallo stato alle regioni? Si pongono su spalle poco robuste pesi enormi». E ancora: «Scuola e sanità rappresentano circa 2/3 del welfare state. Le regioni più gracili, quelle meridionali, sopporteranno un tale peso? È facile prevedere che questo comporterà maggiori politicizzazioni, minore efficacia di azioni, maggiori costi, più corruzione».

Il regionalismo si configura, quindi, come un’opportunità sprecata? Finora, in alcuni casi, può sembrare, ma è possibile recuperare, soprattutto attraverso l’uso delle nuove tecnologie, che modificano profondamente i rapporto con il cittadino.

La periferia come centro della Rete

In definitiva, il federalismo digitale che cosa potrebbe rappresentare? Una straordinaria opportunità soprattutto per le aree più deboli del nostro paese che sono oggi messe in condizione, per la prima volta, di recuperare ritardi storici. Oggi, proprio grazie alle nuove tecnologie che abbattono le distanze, la periferia può essere il centro della Rete. Ogni punto è ipoteticamente il centro, che è là dove si trovano i saperi. A fare la differenza saranno quindi le persone che vivono, lavorano, si formano, vengono attratte all’interno di un determinato territorio.

Ne deriva qualcosa che, in effetti, si sta già manifestando: uno sviluppo a macchia di leopardo tra il Nord ed il Sud del paese, in cui alcune aree del Sud, magari ridotte, hanno la possibilità di raggiungere i livelli economici, culturali e tecnologici delle aree più avanzate del Nord e, viceversa, aree del Nord prima sviluppate possono perdere competitività rispetto a quelle del Sud.

La differenza, oggi, è sempre più determinata dal capitale umano. In questa prospettiva, occorre considerare che il ritorno al territorio è veramente una scelta fondamentale, anche perché la civiltà di un paese si misura soprattutto dal rapporto tra i cittadini e lo stato, dall’efficienza delle risposte che rendono effettivo l’esercizio dei diritti e quindi della democrazia. L’avvento del federalismo digitale, inoltre, potrebbe consentire di ridurre la discrezionalità mediante un controllo più puntuale e rispondente, offrendo la possibilità ai cittadini non solo di avere accesso alle informazioni, ma anche di ricercarle, selezionarle e utilizzarle nel proprio personale interesse.

È evidente che il successo di un’area geografica, piccola o grande che sia, dipenda dalla sua capacità di attirare i migliori talenti. Sono proprio questi che, con la loro energia creativa, ne arricchiscono il capitale sociale. Un territorio capace di attirare talenti deve possedere anzitutto una eccellente rete del sapere, costituita prevalentemente da scuole e università. In questo quadro la comunicazione pubblica ha un ruolo fondamentale per sviluppare l’identità territoriale e le relative politiche di marketing, utilizzando le leve del cambiamento rappresentate dalle nuove tecnologie.

Uno stato si dimostra efficiente nella misura in cui ottimizza le risorse e può agevolmente aiutare i meno fortunati. Democrazia significa allora porre davvero al centro il singolo cittadino. Con le nuove tecnologie è possibile farlo più e meglio di prima, grazie a una gestione più legata al territorio. Astrazione? Ideologia? Non credo, se si deciderà di considerare come una priorità politica lo sviluppo dell’educazione alla democrazia, investendo in istruzione, innovazione e ricerca.

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