Un farmaco contro il Parkinson in corso di test clinici rafforza le contrazioni cardiache negli animali

Circulation pubblica i risultati di uno studio che potrebbe condurre a farmaci più sicuri contro l’infarto

di MIT Technology Review Italia

Un farmaco studiato per il Parkinson potrebbe rivelarsi di efficace in caso di infarto. L’ipotesi nasce da test condotti su animali da ricercatori del Johns Hopkins Medicine.
Il farmaco, un inibitore di tipo I dell’enzima fosfodiesterasi (PDE), si è dimostrato capace di rafforzare le contrazioni cardiache in cani e conigli.

L’insufficienza cardiaca è una condizione cronica caratterizzata spesso da un indebolimento del muscolo cardiaco. I farmaci attualmente in uso per contenere gli effetti di questa condizione rafforzano le capacità di contrazione del cuore, ma si accompagnano a pericolosi effetti collaterali come l’aritmia.

Nello studio pubblicato da Medical Xpress, i ricercatori della Johns Hopkins hanno dimostrato come il nuovo composto operi in maniera differente rispetto ad altri farmaci, con la possibilità quindi di dimostrarsi meno pericoloso.

L’insufficienza cardiaca interessa 5,7 milioni di individui adulti nei soli U.S.A., secondo dati dei Centers for Disease Control and Prevention, e provoca 1 decesso su 9. Tra i farmaci utilizzati per arginare questa condizioni, ci sono diuretici per prevenire l’ingrossamento del cuore, farmaci capaci di mantenere bassa la pressione sanguigna e farmaci beta bloccanti per proteggere il cuore da danni provocati dall’adrenalina. Non esistono cure. “I nostri risultati promettono la possibilità di aumentare la capacità di contrazione del muscolo cardiaco senza danneggiare il paziente,” spiega David Kass, M.D., professore di cardiologia alla Johns Hopkins University School of Medicine alla guida dello studio.

Il farmaco protagonista dello studio, ITI-214, è un inibitore dell’enzima PDE1, capace di limitare gli effetti benefici per il cuore di due molecole messaggere delle cellule, cAMP e cGMP, l’inibizione del PDE1 si è dimostrata benefica nei topi, ma sono cani e conigli ad avere la composizione enzimatica più simile a quella umana. Per i propri esperimenti quindi, i ricercatori hanno testato il farmaco su sei cani muniti di sensori e pacemaker applicati chirurgicamente. Gli studiosi hanno indotto l’infarto nei cani e studiato gli effetti del farmaco prima e dopo l’evento facendo correre il pacemaker per circa tre settimane. Il farmaco è stato testato in dosi differenti, sia per bocca che in iniezione, con un giorno di pausa tra un test e il successivo

Secondo Kass, si tratta del primo caso in cui un inibitore si dimostra capace di rafforzare le contrazioni cardiache. Da rilevare una nota di cautela, in quanto il farmaco avrebbe accelerato il battito cardiaco in cani sani a livelli pericolosi, laddove nessun effetto simile è emerso nei cani malati.

I ricercatori temevano soprattutto la possibilità che il farmaco provocasse pericolosi casi di aritmia come già avvento per altri farmaci. I risultati della ricerca però, sembrano indicare che il nuovo inibitore agisca su fattori differenti rispetto a quelli del passato. A differenza di altri farmaci, non sembra ottenere il rafforzamento delle contrazioni cardiache né per mezzo di un aumento dei livelli di calcio nel muscolo, né attivando il sistema adrenergico, entrambi metodi accompagnati dal possibile sviluppo di forte aritmia.

Lo studio è supportato da: National Heart, Lung and Blood, Japanese Circulation Society Overseas Research Fellowship, Uehara Memorial Foundation Research Fellowship, T32 Training Program, e da Intra-Cellular Therapies, fornitrice del farmaco nonché finanziatrice della ricerca.

(lo)

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