Una crociata legale contro i malintenzionati online

In questa intervista, l’avvocato Carrie Goldberg spiega perché è impegnata a cambiare la legge alla base della moderna Internet, che lascia spazio a stalking, pornovendetta e altre minacce alla privacy.

di Angela Chen

Carrie Goldberg, un avvocato che difende le vittime di cyber molestie, sta lavorando a una causa che potrebbe cambiare Internet per sempre.

Il suo impegno ha già contribuito a colpire la pornovendetta nello stato di New York. A suo parere, i diritti alla privacy sessuale vanno garantiti e “se qualcuno viene aggredito, la persona o entità responsabile deve pagare”.

Ho incontrato Goldberg per discutere del suo nuovo libro, Nobody’s Victim: Fighting Psychos, Stalkers, Pervs e Trolls.

Nel nostro incontro, abbiamo parlato del perché ci è voluto così tanto tempo per rendere illegale la pornovendetta e di quali altri crimini informatici potrebbero rientrare nel nostro sistema legale, cambiando quella parte di legislazione che ha creato Internet così come è oggi.

Questa intervista è stata leggermente modificata per maggiore chiarezza.

Lei ha contribuito alla stesura del disegno di legge dello stato di New York, approvato a febbraio, che rende illegale la pornovendetta. Perché ci è voluto così tanto tempo e perché non esiste una legge federale simile? Chi sono le persone che fanno pressioni contro questi provvedimenti?

Per molto tempo, sono state le organizzazioni civili libertarie e i cosiddetti combattenti per la libertà su Internet – ACLU, Electronic Frontier Foundation – a pensare che diffondere le immagini nude di qualcuno fosse una parte vitale della libertà di parola.

La loro propaganda ha prodotto seri danni, facendo passare l’idea che eventuali leggi sulla pornovendetta avrebbero limitato la libertà di espressione su Internet. Molte persone hanno dato credito a questa visione del mondo.

Inoltre, si riscontra una certa indifferenza al problema. Le principali vittime di questi crimini sono donne e molti stati, con politici prevalentemente maschi di età avanzata, non hanno mai utilizzato il loro potere per lottare per la privacy sessuale.

A livello federale, c’è la SHIELD Act, che è stata introdotta all’inizio di questa primavera. Il problema è bipartisan, ed è molto difficile far passare le leggi in questa fase politica. Ci sono tante questioni urgenti e preoccupazioni politiche di diverso tipo, come i cambiamenti climatici e il controllo delle armi, che mettono in secondo piano il problema della privacy in campo sessuale.

La pornovendetta sembra essere una nuova situazione che le nostre leggi hanno difficoltà ad affrontare. Ci sono altri esempi di questo tipo?

La pornovendetta cade sicuramente al fi fuori delle maglie delle nostre leggi. Questo fenomeno si sta ripetendo con i deepfake.

Man mano che queste manipolazioni aumentano di frequenza, sarà molto difficile applicare un sistema per regolamentarle con l’attuale sistema legale.

Con i deepfake ci troviamo di fronte a qualcosa che è al di fuori dei confini della maggior parte delle leggi sulla pornovendetta, anche se potrebbero rientrare nel reato di diffamazione perché rappresentano una manipolazione della verità per far sembrare che qualcuno abbia compiuto azioni che non ha fatto.

In diversi casi, è importante comprendere il rapporto tra il comportamento online e la tecnologia. Quando una vittima denuncia un crimine, dirà: “Sono stata vittima di molestie online”. Un poliziotto potrebbe pensare:”Viene chiamata puttana su Twitter; non c’è niente che possiamo fare al riguardo”.

Ma si potrebbe trattare di minacciosi messaggi testuali su Facebook di più persone che minacciano di farle violenza. Non stiamo più parlando quindi di “cyber molestie”, ma di stalking, per il quale esistono precisi articoli del codice penale.

Lei è stata esplicita nel criticare la Sezione 230, una disposizione di legge che solleva i siti Web dalla responsabilità penale. Perché?

Il più grande ostacolo legale che ho di fronte è la Sezione 230 del Communications Decency Act, che non rende responsabili le aziende per i contenuti forniti da una terza parte.

In questo modo si garantisce l’immunità a un intero settore, peraltro il più ricco di dati nella storia dell’universo. Se non si può mai essere citati in giudizio per aver diffuso contenuti offensivi o per negligenza, non si ha un incentivo a integrare funzionalità di sicurezza di base nei prodotti per evitare danni a persone.

Un importante caso relativo alla Sezione 230, Herrick v. Grindr, la vede protagonista. In che modo la legge non si è dimostrata all’altezza?

L’ex fidanzato del nostro cliente ha creato un falso profilo di Matthew sull’app di incontri gay Grindr. Le foto del mio assistito sono state postate in questo profilo e poi, fingendo di essere Matthew, l’ex fidanzato ha comunicato tramite messaggio con estranei, prendendo appuntamenti a sfondo sessuale, e sfruttando la tecnologia di geolocalizzazione di Grinder per mandare uomini a casa di Matthew e al suo posto di lavoro.

Nel corso di alcuni mesi, oltre 1.200 sconosciuti si sono presentati da Matthew credendo di avere un appuntamento a sfondo sessuale.

Matthew lo ha riferito alla polizia ben 14 volte. Ha ottenuto un ordine restrittivo nei confronti del suo ex ragazzo, ma nulla di tutto ciò ha impedito che il falso profilo continuasse e essere attivo.

Grindr era a conoscenza di tutto, ma i loro avvocati ci hanno detto che non avevano la capacità di “identificare ed escludere” un utente, il che grida allo scandalo.

Abbiamo quindi proposto una teoria giuridica piuttosto innovativa per denunciarne le responsabilità. I tribunali hanno affermato che Grindr era protetto dalla Sezione 230 e che il problema era stato creato solo dal suo ex. Un paio di settimane fa, abbiamo chiesto alla Corte Suprema di prendere in considerazione il caso.

Come modificherebbe la Sezione 230 per prevenire questo tipo di situazioni?

Non credo che dovrebbe essere modificata, ma eliminata. Tutti dicono: “Così si eroderà completamente la libertà di parola”. Perchè? Chiunque farà causa dovrà dimostrare che il problema è stato provocato dalla azienda tecnologica e dovrà offrire prove del danno subito.

(rp)

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