Uno sguardo al progetto dedicato a comprendere infine il cervello

Le IA sono modellate sul cervello solo a grandi linee. È necessario mappare quanto realmente avviene tra neuroni e fibre nervose.

di M. Mitchell Waldrop 

Le intelligenze artificiali hanno raggiunto un livello di qualità straordinario. Dal riconoscimento facciale, alle automobili automatiche, ai campioni meccanici di Go.

Le applicazioni d’IA non devono più nemmeno essere programmate: si basano su architetture che permettono loro di imparare dall’esperienza. Eppure, secondo David Cox, neuroscienziato di Harvard, c’è ancora qualcosa di goffo e bruto in tutto questo.

“Per far sì che riconoscano un cane, bisogna mostrare al programma migliaia di immagini di cani e migliaia di non-cani,” spiega. “Mia figlia riconosce cuccioli da che ha visto il primo”— per non parlare del fatto che un minima interferenza nei dati può produrre un errore. (“Is AI Riding a One-Trick Pony?”).

Cox, assieme a dozzine di altri neuroscienziati ed esperti in apprendimento automatico si sono raccolti attorno al progetto Machine Intelligence from Cortical Networks (MICrONS): un’iniziativa finanziata con 100 milioni di dollari per analizzare il funzionamento del cervello.

Il progetto MICrONS venne ideato da Jacob Vogelstein quando lavorava all’Intelligence Advanced Research Projects Agency, l’agenzia di ricerca statunitense per l’intelligence.

I ricercatori del MICrONS stanno cercando di mappare le struttura e funzione di ogni minimo dettaglio di un millimetro cubico della corteccia di un roditore, contenente circa 100,000 neuroni ed un miliardo di sinapsi.

Obbiettivo del progetto è la raccolta di dati e principi che dovrebbero divenire, secondo Vogelstein, “I mattoni base per la prossima generazione di IA.”
Le reti neurali attuali si basano su nozioni semplicistiche del funzionamento del cervello. Questi sistemi trasmettono informazioni per migliaia di nodi interconnessi, per lo più in direzione progressiva, mentre un vero cervello è pieno di feedback: per ogni gruppo di fibre neuronali che trasmettono informazioni da una zona all’altra, ce n’è altrettante che rispondono, e non sappiamo perché.
Secondo Sebastian Seung, neuro scienziato della Princeton University, un progetto come il MICrONS è indispensabile alla ricerca di risposte.

Le squadre del MICrONS—una guidata da Cox, una sita alla Rice University ed al Baylor College of Medicine, una terza alla Carnegie Mellon—stanno ciascuna perseguendo una ricostruzione di tutte le cellule contenute in un millimetro cubico di cervello di ratto, oltre ad un diagramma delle connessioni—un “connettoma”—che mostri come ogni cellula sia connessa alle altre, e quali situazioni, esattamente, provochino l’attivazione dei neuroni e la loro relazione.

Per prima cosa, i ricercatori cercheranno di comprendere cosa facciano i neuroni in quel millimetro cubico. Fino ad un decennio fa, “Non avevamo gli strumenti per portare avanti queste ricerche,” spiega Vogelstein. Solo di recente è divenuto possibile registrare l’attività elettrica in più di una dozzina di neuroni alla volta o monitorare un neurone individualmente.

Questi progressi sono stati resi possibili dallo sviluppo di tecniche capaci di far accendere i neuroni quando si attivano nel cervello vivente. Questo risultato si ottiene disseminando tra i neuroni proteine fluorescenti che si illuminano alla presenza di calcio, una sostanza che abbonda quando i neuroni si attivano. Le proteine possono essere condotte al cervello dei roditori chimicamente, per mezzo di virus benigni o codificate nel genoma dei neuroni.

La fluorescenza può essere attivata pompando luce infrarossa nel cervello. Le frequenze infrarosse permettono ai fotoni di penetrare l’opaco tessuto neurale senza fare danni, prima di venire assorbite dalle proteine fluorescenti. Le proteine, a loro volta, combinano l’energia di due fotoni infrarossi rilasciandola in forma di un singolo fotone visibile al microscopio mentre l’animale osserva qualcosa o compie movimenti.

Una volta mappata l’attività neurale di un ratto, il laboratorio di Cox uccide l’animale e ne infonde il cervello con dell’osmio, un elemento metallico. La squadra guidata da Jeff Lichtman, biologo di Harvard, taglia quindi il cervello in fette spesse 30 nanometri e determina come i neuroni siano organizzati e connessi.

In un altro laboratorio, nastri contenenti fette di cervello sono montati su supporti in silicio e posizionati in un grande microscopio elettronico che utilizza 61 raggi di elettroni per scansionare 61 porzioni del tessuto cerebrale simultaneamente ad una risoluzione di 4 nanometri. Ogni scansione richiede 26 ore.

Le immagini risultanti compaiono su monitor e vengono trasmesse a Hanspeter Pfister di Harvard che ricostruisce le immagini tridimensionali dei neuroni—complete di organuli, sinapsi, ecc.

Ciascun neurone, indipendentemente dalla misura, produce una foresta di filamenti chiamati dendriti, a loro volta dotati di sottili, lunghe fibre chiamate assoni che trasmettono impulsi nervosi su lunghe distanze, fino al lato opposto del cervello o persino giù per la colonna vertebrale.

I ricercatori intendono seguire queste fibre dall’inizio alla fine per poter osservare un circuito neuronale completo e rispondere a domande come: quali sono gli algoritmi del cervello? Come funzionano tutti quei circuiti neuronali? Cosa produce tutto quel feedback? La maggior parte delle attuali applicazioni IA non fanno uso di feedback.

Alcune reti neurali “ricorrenti” sono dotate di connessioni che tornano indietro, una funzione che aiuta a gestire input che cambiano con il tempo. Nulla di paragonabile all’utilizzo del feedback osservabile in un cervello.
Secondo Tai Sing Lee della Carnegie Mellon, “solo il 5 -10 percento delle sinapsi presta attenzione alle informazioni prodotte dagli occhi.” Il resto delle sinapsi ascolta il feedback prodotto dai livelli più alti del cervello.

Secondo Cox, una delle teorie sulla natura del feedback lo descriverebbe come il tentativo del cervello di anticipare le informazioni a venire, per sopravvivere in un ambiente in veloce movimento.

“I neuroni sono molto lenti, ,” spiega Cox. “Ci vogliono 170 – 200 millisecondi perché la luce che ha colpito la retina produca una percezione consapevole. Nel frattempo, un servizio di Serena Williams avrà percorso 9 metri.” Chiunque sia in grado di risponderle, deve esserci riuscito in base ad una predizione.

La seconda teoria descrive le connessioni di feedback del cervello come guide all’apprendimento. Come avviene per le simulazioni al computer, ogni progresso richiede che un sistema costruisca modelli sempre più accurati del mondo.

Questi procedimenti potranno poi essere utilizzati per la realizzazione di nuove IA. Altre domande attenderanno risposta. Ci sono forme di comunicazione tra cellula e cellula che non passano per le sinapsi, alcune delle quali condotte da ormoni e neurotrasmettitori a galla negli spazi tra i neuroni.

Le ricerche del MICrONS, inoltre, non osservano che una piccola parte della corteccia, il sottile strato esterno del cervello. Molte funzioni di controllo e comando originano da strutture del cervello profondo. 

La buona notizia è che il MICrONS sta già ponendo le basi per progetti futuri che mapperanno porzioni più ampie del cervello, raccogliendo dati e producendo tecnologie che renderanno ogni successivo progetto più semplice da condurre.

(lo)

Related Posts
Total
0
Share